Sul fronte della guerra ai poveri il governo si è dotato di nuove armi.
Sebbene non ci siano ancora i testi dei due nuovi decreti legge su immigrazione e sicurezza urbana approvati dal Consiglio dei ministri, il senso dell’operazione è chiaro.
I CIE cambiano nome e diventano CPR, centri per il rimpatrio, ma la sostanza non cambia. Ce ne sarà uno per ogni regione. L’unica novità è che dovrebbero essere più piccoli e sorgere lontani dai centri urbani, “vicini agli hub di comunicazione”. Oggi quelli rimasti aperti dopo le rivolte sono solo quattro.
Minniti ha annunciato che i fondi per i rimpatri assistiti saranno raddoppiati.
Stretta anche per i profughi, cui viene negato il diritto al ricorso in caso di respingimento della domanda di asilo. In compenso i richiedenti asilo potranno riempire il tempo, in attesa della sentenza sul loro futuro, lavorando gratis, “in favore delle collettività locali”. Ogni comune, in accordo con la Prefettura locale, potrà richiederne l’impiego per attività di “pubblica utilità”. Le cooperative che gestiscono i profughi non garantiscono i loro diritti? Non gli insegnano la lingua, non offrono assistenza legale? Non importa! Grazie al nuovo governo i profughi saranno “messi al lavoro” volontariamente. Quanti si negheranno, nell’illusione che qualche mese di lavoro al verde pubblico o per le strade possa “fare curriculum” per le commissioni territoriali?
Appena respinta la domanda di asilo si perde ogni diritto all’accoglienza: così le strutture hanno più spazi per i nuovi arrivati. Minniti spinge nella clandestinità e getta in strada migliaia di persone e chiama tutto questo “sicurezza”.
Il daspo dei sindaci, il provvedimento adottato dal ministero dell’Interno, per garantire “il decoro urbano” ha caratteri più fumosi.
“Di fronte a reiterati elementi di violazioni di alcune regole in un determinato territorio – ha spiegato Minniti – le autorità possono proporre che chi li ha commessi non possa più frequentare quel determinato territorio”.
Secondo i giornali potrebbe scattare il daspo sull’intera città o per specifici luoghi o quartieri, “di fronte a reiterati elementi di violazioni di alcune regole in un determinato territorio”.
Quali regole? Certo non quelle del codice penale che hanno un proprio ambito di applicazione. Secondo la stampa nel mirino ci sarebbero accattoni, writer, prostitute, gente che bivacca. Poveri ed irregolari. Forse anche chi, nelle città, lotta con i poveri e gli irregolari che cercano di aprirsi spazi di vita. Questi decreti si basano, come diversi altri dispositivi già adottati, alla logica del diritto penale del nemico.
Il ministro vuole attuare le stesse politiche auspicate dalle destre xenofobe senza usare il loro linguaggio.
E dice: “non abbiamo bisogno di sindaci sceriffi o di un ministro dell’Interno sceriffo, abbiamo bisogno di cooperazione tra territorio e Stato”
Nella conferenza stampa di presentazione dei due decreti, ha esordito dichiarando che “la sicurezza urbana va intesa come un grande bene pubblico”.
La neolingua del ministro dell’Interno ha il sapore acre della burocrazia che trita le vite delle persone per il bene di tutti.
Ascolta la diretta dell’informazione di radio Blackout con Eugenio Losco, avvocato milanese, che cura la difesa di migranti e compagni:
tratto da
https://anarresinfo.noblogs.org